Set 27

Caso Sallusti, Napolitano: via la norma

ROMA
La normativa sulla diffamazione a mezzo stampa, che in base al codice italiano può ancora comportare una pena detentiva, va cambiata. Giorgio Napolitano e Paola Severino non hanno dubbi. Dopo il caso Sallusti e la conferma in Cassazione di 14 mesi di reclusione, il Presidente della Repubblica e il ministro della Giustizia scendono in campo con un comunicato in cui concordano sulla necessità di «modifiche normative» che tengano «conto delle indicazioni della Corte europea di Strasburgo». E, a partire da qui, non escludono «possibili ricadute concrete sul caso Sallusti», visto che una modifica in senso abrogativo è retroattiva e ha effetto, quindi, anche di fronte a una sentenza passata in giudicato.

Da giorni il Capo dello Stato aveva fatto sapere che stava seguendo da vicino al vicenda del direttore del Giornale. Anzi, ex direttore, visto che oggi Sallusti si è dimesso, dopo aver firmato un ultimo editoriale di fuoco. Il ministro Severino, dal canto suo, sottolinea che «il carcere è sempre un’extrema ratio» e «se ci sono possibilità alternative vanno percorse». E le «alternative» sono legate a un intervento che incida sulla legge sulla stampa in vigore. Un testo del ’48 che punisce la diffamazione sia con l’ammenda che col carcere, risultando così più restrittivo del testo di epoca fascista datato 1930, che invece prevedere la multa o, in alternativa, il carcere. «La pena detentiva per la diffamazione è eccessiva», ammette lo stesso presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, che pur senza invadere il campo della politica – «che non mi compete» – auspica che il Parlamento intervenga. Anche il vice presidente del Csm, Michele Vietti, pur chiarendo che è stata applicata la legge, confida che il legislatore intervenga con una modifica.

La vie per farlo possono essere diverse. Una potrebbe essere il decreto, «opzione esaminata dal governo», fa sapere il capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto. Il presidente dei senatori Pdl, Maurizio Gasparri, ha presentato, con vari cofirmatari, un progetto di legge sulla depenalizzazione della diffamazione e la derubricazione a sanzione pecuniaria, chiedendo che il governo lo recepisca in un decreto. Ma lo stesso Gasparri, insieme al vice presidente del Senato Vannino Chiti (Pd) ha presentato anche un disegno di legge analogo. Inoltre, come indicato dal ministro Severino, c’è anche un ddl pendente in parlamento che si potrebbe «ripescare, calendarizzandolo velocemente». Oppure si potrebbe ricorrere a un disegno di legge del governo. Due strade che permetterebbero di compenetrare meglio, si intravede nelle parole del ministro, le esigenze di urgenza con quelle di una «meditazione» più approfondita sul tema. Quel che è certo – ha precisato Severino – è che i tempi per mettere mano al problema «sono maturi», anche alla luce di quanto fissato dalla Corte europea di Strasburgo, che ha giudica una violazione il carcere per reati commessi a mezzo stampa.

Al di là del problema generale, una via d’uscita per il caso Sallusti potrebbe essere la grazia, evocata oggi da Gianpaolo Pansa. Concederla spetta al Presidente della Repubblica, ma prima – si ricorda in queste circostanze in ambienti vicini al Colle – la grazia deve, sempre e in ogni caso, essere richiesta. Sallusti anche oggi, nel suo editoriale, torna a escluderlo. Ma «potrebbe essere la Fnsi, nell’interesse di tutti evidenziato dal caso Sallusti» a farlo, propone il segretario generale, Franco Siddi.

NUOVO PROCESSO
Per Sallusti intanto si profilano nuovi guai giudiziari. Il direttore del Giornale, condannato ieri a 14 mesi dalla Cassazione, è stato rinviato a giudizio con l’accusa di omesso controllo in un procedimento per diffamazione ai danni dell’ex sostituto procuratore militare di Padova, Maurizio Block. L’accusa si riferisce a quando Sallusti era direttore di “Libero”. Il gup di Milano, Maria Grazia Domanico, accogliendo la richiesta del pm milanese Angelo Renna, ha rinviato a giudizio Sallusti (accusato di omesso controllo in qualità di direttore), la giornalista Barbara Romano, e il generale Antonio Pappalardo, entrambi accusati di diffamazione. Il processo si aprirà il prossimo 5 dicembre davanti alla Quarta Sezione Penale di Milano. Al centro del processo c’è un’intervista firmata dalla giornalista al generale Pappalardo e pubblicata su Libero il 3 luglio del 2007. Nell’intervista il generale avrebbe, secondo l’accusa, rilasciato delle dichiarazioni diffamatorie nei confronti dell’ex sostituto procuratore militare di Padova, Maurizio Block, oggi consigliere del Csm Militare. Block si è costituito parte civile, rappresentato dall’avvocato Fabio Sebastiani, mentre Pappalardo è difeso dal legale Filippo Sabbia.

La difesa della giornalista e di Sallusti, rappresentata dall’avvocato Valentina Ramella, aveva puntato sull’assoluzione dei due imputati facendo riferimento a una sentenza della Cassazione, la quale, in sostanza, ha stabilito che se l’intervistato riveste un particolare ruolo istituzionale, come all’epoca il generale Pappalardo, le dichiarazioni riportate hanno interesse pubblico. Nell’intervista dal titolo “Violante lascia? Peccato, con tutto quello che sa”, tra l’altro, scrive il pm, «veniva indicato l’on. Violante» come «responsabile della “regia occulta” dell’accusa di “golpismo” mossa all’allora colonnello Antonio Pappalardo» e veniva accusato «il dottor Block (…) di rapporti “inquietanti” con il presidente della Camera dei Deputati on. Luciano Violante». E Block poi nell’intervista, sarebbe stato, sempre stando all’imputazione, accusato da Pappalardo anche di aver ipotizzato la «falsificazione» di un atto del Governo. L’atto era il decreto con cui il Ministero della Giustizia nel 2001 respinse la richiesta dello stesso magistrato militare di procedere contro Pappalardo per «vilipendio» al Governo e alle Camere. «Circostanze false – scrive il pm – nel senso che il dottor Block mai aveva ritenuto sussistere la predetta falsificazione, né aveva deciso di interloquire con il presidente Violante su tale argomento». L’accusa di diffamazione per Romano e Pappalardo è aggravata dalla «attribuzione di fatti determinati».

Fonte: www.lastampa.it